Mercati e Mercanti

Mercati e Mercanti

ignoto.1770
L’edificio, completato nel 1233, si sviluppa su un ampio porticato sotto il quale notai e banchieri disponevano i loro banchetti per stipulare contratti o prestare denaro. Una curiosità, se siete in compagnia provate, sotto il loggiato, a disporvi su due colonne poste obliquamente che presentano dei fori, parlate vicino al buco e scoprirete che la persona piazzata nella colonna opposta sentirà ciò che state dicendo. Si racconta che sia stato uno stratagemma voluto per comunicare fra i vari banchetti. Sopra il porticato si trova un’ampia sala, di circa cinquanta metri per venti di larghezza, dove si riuniva l’assemblea dei cittadini milanesi chiamata “Consiglio generale dei Novecento”.

Le Gerarchie

La corporazione dei mercanti era, si direbbe, un Comune nel Comune, un piccolo Stato nello Stato, anche quando, col rafforzarsi della Signoria, dovette rinunciare a molti dei poteri avuti nell’epoca del libero Comune.
Questi poteri, erano esercitati mediante una complessa gerarchia di capi e di funzionari:
il potere esecutivo risiedeva in un collegio di dodici Consoli detti Consoli della strada, nominati per un anno, da un consiglio di ventiquattro persone, i quali in sei coppie si alternavano di due in due mesi nella carica suprema di Abati, senza licenza dei quali non si poteva radunare il Consiglio nè spedir lettere col sigillo camerale.
A due Consoli speciali, detti di giustizia, spettava la cura della disciplina nella Comunità e quel tanto di potere giudiziario che gli ordinamenti di quei tempi lasciavano al grande sodalizio mercantile; erano eletti dai consoli fuori del loro seno; uno dei due doveva appartenere al Collegio dei giureconsulti. V’erano infine sei servitori o usceri, eletti ogni anno dal consiglio a cui spettava l’assistenza all’ufficio dei Consoli di giustizia. Tanto i consoli come i segretari e gli ufficiali dovevano prestare giuramento nelle mani degli Abati.

I Poteri

Ampi erano i poteri dei Consoli: potevano catturare e far catturare i debitori morosi ogni giorno dell’anno, escluse le feste solenni, anche quando le catture nel Comune di Milano fossero sospese dal governo, come poteva accadere in occasione di straordinari avvenimenti politici o civili; potevano tenerli prigionieri fino a che non avessero saldato il debito.

La preoccupazione dell’onestà nelle contrattazioni e della scrupolosa osservanza degli impegni appare costante negli statuti mercantili; si può dire che un buon terzo di essi è dedicato a garantire il ceto negoziante contro i debitori ostinati. I debitori, una volta banditi, non erano più considerati come cittadini milanesi. Qualunque creditore poteva riscuotere la somma dovuta anche dal parente del debitore o da un suo ospite, chiedendo l’aiuto degli agenti del Comune.

Questo concetto di solidarietà della colpa, che a noi sembra iniquo, era una caratteristica del diritto medioevale, e si collega a quello delle rappresaglie per il quale tutta la città era tenuta responsabile del fallo d’un suo abitante. Nessuno poteva albergare, accogliere o aiutare i debitori fuggitivi.

I Consoli dei mercanti, nell’esercizio della loro ampia giurisdizione, erano in continuo rapporto con il Podestà e con gli altri giudici, organi del potere giudiziario del Comune. Il Podestà doveva agire d’accordo con loro nell’inquisire contro i fuggitivi e chi li aiutasse; gli statuti stessi dicono che le denunce di debitori morosi potevano esser presentate, oltrechè alla Camera dei mercanti, anche al Podestà o al capo del Comune (Vicario di Provvisione), il quale, se il debitore non avesse dato garanzia, doveva far sequestrare i suoi beni e chiamare tutti i suoi parenti fino a che la garanzia fosse fatta.