SAN MICHELE AL GALLO

SAN MICHELE AL GALLO

A cura di Germana Formenti e Rolando Pizzoli
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La pianta della chiesa di San Michele al Gallo riportata in un dettaglio del progetto del Seregni per la risistemazione della piazza del 1567

L'impianto architettonico perduto

….L’antico edificio sacro venne fondato nel 1398. Nel XV secolo era già indicato nell’elenco delle parrocchie di Porta Comasina (Status ecclesiae mediolanensis). Doveva il suo nome, molto probabilmente, al fatto di avere l’immagine di un gallo, simbolo di vigilanza, infissa sul campanile ….

….Anticamente vi era, sul retro della chiesa, nel sito su cui a partire dal XV sec. si comincerà a costruire la Casa dei Panigarola, un antico cimitero (forse quello dell’antico convento del Lentasio) il cui sedime era ancora visibile, delimitato nel Settecento da staccionate lignee.

….L’edificio, per quanto piccolo, era dotato di una navata centrale e due navatelle laterali separate da colonnati, e aveva un campanile all’angolo tra la Porta degli Orefici e Via Orefici. La chiesa è attestata come rettoria nel 1564, nella città di Milano, figurando nel registro dei benefici della diocesi di Milano portante il prospetto delle imposte per gli anni 1579-1585 (Registro benefici diocesi di Milano, 1579-1585). Tra XVI e XVIII secolo la parrocchia di San Michele a Gallo è costantemente ricordata negli atti delle visite pastorali compiute dagli arcivescovi di Milano e dai delegati arcivescovili tra le parrocchie di Porta Comasina.

….L’edificio era anche sede della Confraternita del Santissimo sacramento, e venne completamente rifatto attorno alla metà del XVII secolo, forse all’indomani dell’incendio che distrusse il portico di Azzone a opera, come attestato dal Lattuada, di Gerolamo Quadrio.

….La funzione ecclesiastica dello stabile venne meno con il nuovo compartimento territoriale delle parrocchie della città e dei Corpi Santi di Milano che ebbe pieno effetto dal 25 dicembre 1787 (avviso 16 novembre 1787), la parrocchia di San Michele al Gallo fu soppressa e unita alla parrocchia di Santa Maria Segreta.

….L’ex chiesa venne nel 1788 acquistata dai fratelli Giobatta e Francesco Corneliani con l’intento di aprire tre botteghe, due verso la contrada degli Orefici e l’altra verso piazza dei Mercanti; inoltre essi chiesero il premesso alla congregazione municipale di utilizzare il pozzo per fare delle modifiche all’interno della chiesa[1]. Essi vi installarono un macchinario per ridurre in lamine l’oro suddividendo l’antico spazio con tramezzature per ricavare altri vani interni.

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Particolare della Porta degli Orefici, sul fianco destro le botteghe ricavate dall’antica chiesa. Da un litografia del 1852 di Francesco Corbetta (Civiche raccolte di stampe Bertarelli, Milano)

.….Le sue strutture, irriconoscibili dopo più di un secolo di usi impropri, scomparvero probabilmentesolo all’inizio del XX secolo, con la costruzione, nel 1901, del Palazzo Venezia, su progetto di Luca Beltrami, sede delle Assicurazioni Generali.

….Potrebbero tuttavia con elevata probabilità sussistere tuttora dei lacerti architettonici di questo antico edificio sacro, ascrivibili all’antico ambiente della sacrestia (oggi occupato da una biblioteca antiquaria), e all’abside dell’antica Cappella di Sant’Eligio (oggi occupata da un piccolo bar). Anche curiose entità architettoniche quali un antico piccolo vano murato che forse anticamente comunicava con l’antica sacrestia e la presenza di archi di scarico e colonne murate, fanno ampiamente propendere per l’ipotesi d’essere in presenza delle ultime vestigia architettoniche di quella che per tutta l’esistenza del Broletto Nuovo fu, assieme alla chiesa di San Giovanni Battista e Michele Arcangelo, posta nel centro del Palazzo dei Giureconsulti, l’unica chiesa nel centro amministrativo ed economico della città.

Porta degli Orefici, Milano 1852
Altro particolare della Porta degli Orefici e della bottega realizzata nell’impianto della chiesa, tratta da un incisione di Pietro Achille del 1844 (Civiche raccolte di stampe Bertarelli, Milano)
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S. Eligio
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. ….Dal passaggio della Porta degli Orefici si accedeva alla piccola Cappella dedicata a Sant’Eligio, patrono degli orefici, la cui confraternita aveva qui la propria sede.La corporazione, chiamata anche Scuola di Sant’Eligio o Università degli Orefici, è probabilmente sorta intorno al Trecento, come testimoniato dalle matricole degli Orefici, pubblicate da Daniela Romagnoli nel 1977[1]. ….È la corporazione a far costruire l’altare in San Michele al Gallo, dotandolo di suppellettili. Era uso tra gli associati, infatti, donare oggetti ma anche provvedere alla cura e al restauro della chiesa. I membri, provenienti sia da Milano sia dalla provincia, appartenevano spesso a famiglie nobili e istruite, anche perché vi era una tassa d’iscrizione e, via via, furono introdotte regole per l’accesso volte a una crescente selezione sia dal punto di vista economico che artistico. La corporazione si riuniva nella chiesa di San Michele al Gallo tre volte l’anno. ….La piccola Cappella di Sant’Eligio doveva essere compresa, secondo le ricostruzioni fatte nel 1984 dal soprintendente Gisberto Martelli, tra il volume del campanile e una piccola sacrestia: una successione di spazi che doveva con molta probabilità occupare tutta l’area della navatella laterale verso Porta degli Orefici.

. ….All’interno della cappella si trovavano due tele di Daniele Crespi raffiguranti Sant’Eligio e un mendicante e Sant’Eligio e il morto risuscitato, che fanno ora parte della Collezione Borromeo all’Isola Bella. ….Le opere sono infatti citate in un elenco di «Quadri dei migliori autori» del 1833 nell’Archivio Borromeo, dove si legge «diversi di Daniele Crespi e particolarmente due miracoli di S. Eligio e un Ecce Homo». L’elenco fa parte di un inventario di lavoro stilato tra il 1906 e il 1910 da Giberto VII Borromeo (1859-1941) nel quale la maggior parte delle opere era collocata nella Galleria dei Quadri negli anni in cui Giberto V aveva ridisegnato l’assetto delle raccolte del palazzo all’Isola Bella. Le tele sono state acquistate nel 1790 presso il mercante milanese Francesco Valentino, al quale sono state pagate il 27 settembre 1792. I dipinti sono oggi collocati nell’anticamera, o Salone dell’Affresco, del Palazzo dell’Isola Bella.

S. Eligio e il Mendicante (particolare)

D. CRESPI, Sant’Eligio e il mendicante (particolare)

….Nel Sant’Eligio e il mendicante (o La carità) il santo è raffigurato seduto a un banco e reca nella mano sinistra una statuetta e nella destra un bulino, simboli della sua attività di orefice. Il suo sguardo è rivolto a un mendicante, inginocchiato in primo piano sulla destra con una mano aperta protesa e l’altra che regge un bastone. Dietro al santo su una mensola si notano suppellettili in metallo e, in particolare, una croce, una spilla e una catena. In secondo piano sulla destra si intravedono due uomini intenti al lavoro con un martello, mentre sulla sinistra è rappresentata la scena del trono d’oro in cui il santo mostra al re Clotario il trono da lui realizzato. Francesco Frangi[1] riconosce nello stile del dipinto, nell’accostamento dei piani e in particolare nel dettaglio degli oggetti di oreficeria appoggiati sulla mensola alle spalle del santo, riferimenti alla pittura del Cerano.

S. Eligio e il morto Resuscitato

D. CRESPI, Sant’Eligio e il morto resuscitato (particolare)

. ….Nell’altra tela raffigurante Sant’Eligio e il morto resuscitato (o La resurrezione) è rappresentato l’episodio, riportato da Sant’ Audeno contemporaneo di Eligio, nel quale il santo guarisce la mano di un mendicante. Sant’Eligio, chino con la mano destra appoggiata al petto di un uomo morto, ha lo sguardo rivolto alla sua destra verso un personaggio con il quale sta conversando; alla sinistra un altro personaggio in piedi assiste alla scena con espressione di sorpresa. Il dipinto viene accostato dal Frangi, ad esempio per l’esecuzione del volto del santo e la ripartizione spaziale, alle opere eseguite dal Crespi per la chiesa di San Protaso ad Monachos, commissionategli nel 1623 e iniziate nel 1624, quando Camillo Procaccini realizzò gli affreschi dell’abside. Le opere segnano il passaggio, nello stile del pittore, verso un linguaggio caratterizzato da un impianto compositivo più serrato e un’espressività più enfatica.

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ANDREA LANZANI, Sant’Eligio in estasi

. …. Alle due tele del Crespi si aggiunsero successivamente un dipinto di Andrea Lanzani (1641-1712) raffigurante Sant’Eligio in estasi, e due dipinti di minori dimensioni con storie della vita del santo, opera di Stefano Maria Legnani e Francesco Bianchi, ora conservati nella chiesa di San Sebastiano a Milano.

….Il dipinto del Lanzani, S. Eligio vescovo con la Beata Vergine, il Bambino, S. Caterina e S. Pietro martire, è stato commissionato dalla Confraternita nel 1698, anno in cui il pittore torna a Milano dopo un soggiorno a Vienna di alcuni mesi. Il santo in estasi è rappresentato in abiti vescovili con il pastorale nella mano destra ed è inginocchiato davanti alla Vergine col Bambino in gloria, contornato da angeli e dai due santi Caterina d’Alessandria e un santo domenicano. In basso sulla sinistra della tela è raffigurato un angioletto con un piede poggiato su una brocca di metallo; vi sono inoltre una spilla e un libro aperto in primo piano affiancato da un martello e una tenaglia, tutti simboli dell’attività di orefice.

….Nella Raccolta Bertarelli esiste una stampa che riproduce il dipinto, con una scritta che attesta che l’opera era conservata nella chiesa di San Michele al Gallo, fatta erigere dall’Università degli Orefici.

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STEFANO MARIA LEGNANI, S. Eligio guarisce un’indemoniata

….Nel dipinto di Stefano Maria Legnani S. Eligio guarisce un’indemoniata il santo è raffigurato in piedi mentre benedice una donna indemoniata, inginocchiata davanti a lui e completamente protesa all’indietro con il volto deformato dal dolore e sorretta da un uomo, inginocchiato al suo fianco, che rivolge lo sguardo a sant’ Eligio. Sullo sfondo nella parte sinistra della tela tre personaggi assistono alla scena mentre in alto si intravede una cupola.

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FEDERICO BIANCHI, S. Eligio guarisce un cieco

….Nella tela di Federico Bianchi, S. Eligio guarisce un cieco è ritratto l’episodio narrato da sant’Audeno nel quale Eligio ridona la vista a un cieco. Il santo in piedi nella parte destra della tela, con un mantello in mano, benedice con la mano destra un cieco, che si trova inginocchiato nella parte sinistra della tela. In secondo piano tre personaggi assistono alla scena e nel cielo due angioletti osservano dall’alto. Questi tre dipinti erano probabilmente posti sull’altare della Cappella, come si evince dall’atto notarile rogato da Carlo Lonati il 6 luglio 1804[2] in cui si dichiara che il Corpo degli Orefici e i fratelli Cornegliani affidano alla chiesa di san Sebastiano i tre dipinti provenienti dall’altare della Cappella in San Michele al Gallo.

 [1]   F. Frangi, Studi su Daniele Crespi, tesi di dottorato di ricerca in Storia dell’arte, V ciclo, Università degli Studi di Bologna, 1993, pp. 93-97. 
[2]Archivio storico civico di Milano. Località milanesi, cartella 403.