DAL BROLETTO ALLA PIAZZA DEI MERCANTI

DAL BROLETTO ALLA PIAZZA DEI MERCANTI

A cura di Marina Gazzini
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Ricostruzione del Palazzo della Ragione  prima dei sopralzi, di Alfonso Quarantelli,  (Civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli – Castello Sforzesco – Milano)

….Al centro di Milano, a poca distanza dalle due piazze che rappresentano rispettivamente il polo ecclesiastico e religioso cittadino (piazza del Duomo, con la cattedrale e l’Arcivescovado), e il polo politico e civile (piazza della Scala, con la sede del Comune a Palazzo Marino), si trova piazza dei Mercanti.

….A dispetto del nome che oggi porta questo luogo, i palazzi e i monumenti antichi in esso ospitati non sono tracce solo della storia economica della città, e della sua componente mercantile, ma rappresentano vestigia di un passato ben più complesso.

….Quando la piazza ebbe origine, nel pieno di quel lungo periodo che chiamiamo Medioevo, non venne infatti intitolata ai mercanti, anche perché diversa era la sua principale destinazione d’uso: era lo spazio del Broletto, ovvero del palazzo eretto a simbolo e cuore del potere comunale. Fu però proprio nel corso dei secoli medievali che si delinearono le condizioni per il progressivo impossessamento, prima logistico poi nominale, della piazza da parte del potente ceto mercantile e imprenditoriale milanese. Seguire i primi sviluppi di questa area cittadina risulta dunque indispensabile per comprendere le ragioni della sua fisionomia materiale e del suo profondo legame con il più dinamico tessuto civico milanese.

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La nascita del Broletto

….Questo luogo così denso di memoria cittadina sorse nel 1228, in piena età comunale, a seguito di quello che, con termini moderni, potremmo definire il primo piano regolatore della città. Troviamo descrizione di questo progetto in due testimonianze narrative, la trecentesca Cronaca di Milano di Galvano Fiamma e la quattrocentesca Storia di Milano di Bernardino Corio che, sebbene tarda, viene comunque ritenuta buona fonte di informazione anche per i periodi precedenti. Le fonti narrano che elemento portante del piano urbanistico duecentesco fu la creazione di un nuovo centro per la città medievale che coincidesse, simbolicamente e materialmente, con la sede del Broletto, il palazzo del potere pubblico cittadino che all’epoca si riconosceva nell’istituzione comunale.

….Non molto tempo prima infatti, nel 1183, si era concluso con una pace stipulata a Costanza un conflitto pluridecennale che aveva visto contrapposti l’imperatore Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, e una coalizione di comuni, detta Lega Lombarda anche se composta da centri che solo lombardi non erano, o per lo meno non nel senso attuale, poiché all’epoca il termine si riferiva alla più vasta compagine geopolitica della Langobardia, ovvero dei territori che, a partire dalla fine del VI secolo, erano stati occupati dai Longobardi nell’Italia settentrionale (quelli conquistati dal popolo germanico nell’Italia centrale e meridionale presero invece il nome di Langobardia minor).

….Con la pace di Costanza del 1183, i comuni che avevano sconfitto l’imperatore sette anni prima a Legnano ottennero alcuni diritti di spettanza regia (detti perciò “regalíe”, dal latino iura regalia) e quindi di tradizionale pertinenza pubblica: si trattava ad esempio del diritto di battere moneta, di riscuotere tasse e tributi, di amministrare la giustizia, di darsi delle leggi. Solo allora i comuni, nati inizialmente in maniera provvisoria e in fin dei conti illegale nella volontà di sperimentare autonomie di gestione politica e amministrativa (e non l’indipendenza dall’imperatore tedesco che era il sovrano del Regno italico), furono legittimati a governarsi da soli.

….Molti di loro poterono così sganciarsi dall’iniziale copertura giuridica trovata all’ombra della cattedrale: il vescovo infatti nell’Alto Medioevo esercitò spesso, e in particolar modo nei periodi di minore forza, se non di totale assenza, del potere pubblico, un ruolo di difensore e di amministratore cittadino, anche per questioni che esulavano dal contesto religioso ed ecclesiastico.

….Fu dunque nella curia dell’arcivescovo che a Milano, come altrove, molti cittadini si impratichirono di quelle competenze di governo civico che poi avrebbero desiderato sperimentare in maniera più autonoma. La ghiotta occasione per dare corpo a questa ambizione arrivò a fine XI secolo, grazie a uno scontro epocale, la cosiddetta “Lotta per le investiture”, che impegnò le massime autorità del tempo – il Papato da un lato, l’Impero dall’altro – e che vide come cruciale punto di contrasto le investiture laiche di poteri pubblici ai vescovi cittadini.

….Fu allora che le componenti più in vista della società milanese – l’alta e bassa aristocrazia feudale (“capitani” e “valvassori”) e i cives (cittadini dediti alle libere professioni, come notai, giudici, mercanti, prestatori) – pensarono fosse giunto il momento per governarsi da soli, approfittando della distrazione del potere imperiale, che non riusciva a farsi sentire tramite i propri rappresentanti tradizionali, il conte e il vescovo.

La figura vescovile attraversava infatti una forte crisi di credibilità, anche a causa di un movimento popolare noto come Patarìa, che reclamava la rimozione del clero ritenuto indegno perché concubinario o simoniaco (così detto perché aveva acquistato la carica ecclesiastica, al modo in cui il samaritano Simone Mago, al tempo degli Apostoli, aveva offerto denaro per ottenere il privilegio di battezzare).

….Il processo di acquisizione di legittimità da parte delle autonomie cittadine durò circa un secolo e passò attraverso varie tappe che si riflessero anche nella collocazione fisica delle sedi ove il nuovo governo civico venne via via esercitato. Gli spostamenti logistici che riguardarono Milano risultano al proposito particolarmente significativi.

….Nel 1097 il consulatus civium, il “consolato dei cittadini”, ovvero il luogo dove si riunivano i rappresentanti del nuovo regime comunale, detti consoli in ricordo delle magistrature dell’antica Roma, era situato, così come testimoniano le fonti scritte, prope ecclesiam sancte Marie, cioè presso la minore delle due cattedrali milanesi del tempo, detta anche “Iemale” perché vi si officiava in inverno (l’altra, quella estiva, di rara grandezza, era invece intitolata a Santa Tecla). Questa collocazione si spiega sia con l’iniziale collaborazione con il vescovo da parte dell’embrionale comune cui si è fatto cenno sopra, sia col fatto che la piazza dove sorgevano le due basiliche romane di Santa Tecla e di Santa Maria Iemale – che, si badi, non corrisponde esattamente all’area occupata dal Duomo odierno, perché la costruzione di questo ebbe avvio solo nel 1386 per volere del signore poi duca Gian Galeazzo Visconti, e previde la demolizione degli edifici precedenti – ospitava non solo i luoghi preposti ai fatti di fede: assiepati intorno alle due chiese romane, ai due rispettivi battisteri di San Giovanni ad fontes e di Santo Stefano, e alla curia arcivescovile, si trovavano infatti banchi e botteghe, di proprietà del clero decumano per lo più, che li affittava a importanti famiglie di mercanti e artigiani; a ridosso delle due basiliche e della residenza arcivescovile si trovavano inoltre, dal X secolo, la pescheria, il macello e il mercato pubblico di generi alimentari e di altri prodotti di uso comune. Non stupisce quindi che i primi rappresentanti della nuovissima istituzione comunale si riunissero nella piazza delle cattedrali e dell’episcopio, perché questa da tempo rappresentava il baricentro della vita urbana, nelle sue espressioni religiose, politiche ed economiche.

….Esattamente venti anni più tardi, nel 1117, secondo il cronista Landolfo di San Paolo, detto anche Iuniore, in un prato detto “Brolo” sito presso l’Arcivescovado, il presule e i consoli milanesi fecero invece costruire due tribune, dalle quali parlarono ai rappresentanti delle altre città della Lombardia e ai loro vescovi giunti a Milano per discutere di questioni pertinenti alla Lotta per le investiture: su un palco salirono e presero posto l’arcivescovo, i vescovi, gli abati dei monasteri e i prelati delle chiese cittadine, nell’altro i consoli con i giuristi e gli esperti delle leggi e delle consuetudini. Attorno a loro, scrive Landolfo, affluì una moltitudine di gente, tanto ecclesiastici che laici e anche donne e fanciulle «in attesa della condanna dei vizi e dell’esaltazione delle virtù».

….Dove si trovava questo Brolo e cosa realmente rappresentava? Anzitutto chiariamo che con “brolo”, termine di origine celtica, si indicavano campi, o prati con piante, circondati da mura. La città medievale era infatti ricca di spazi non costruiti, lasciati incolti, adibiti spesso a orti, utili a sopperire alle prime necessità alimentari della popolazione. Dall’Arcivescovado milanese dipendevano sia un “brolo grande”, un vasto appezzamento di terreno che si estendeva grosso modo tra il Verziere e Porta Romana,  dove fra l’altro si svolgevano i giochi militari dei giovani della città, sia un “brolo minore o piccolo”, detto pertanto Broletto, che includeva orti collocati fra il palazzo arcivescovile e l’attuale via Larga. La testimonianza del cronista Landolfo ci fa capire come, in area lombarda, il termine “brolo” potesse assumere col tempo anche il significato di area del potere ecclesiastico e infine di area del potere politico, perché nel medesimo spazio avevano luogo le riunioni dei rappresentanti tanto religiosi quanto laici del governo cittadino.

….Sempre le fonti, questa volta documentarie, ci dicono che dal 1145 a Milano il Broletto, in precedenza definito semplicemente broiletum, cominciò ad assumere il predicato di “consolare” (broiletum consularie): ciò avvenne quando gli esponenti della magistratura consolare fecero costruire su quest’area un edificio loro riservato. Di una domus, altrimenti detta casa o perfino casella, cioè casetta, dei consoli si comincia a parlare dal 1138. Si trattava già comunque di un edificio strutturato su due piani, collegati da una scala esterna: quello inferiore era loggiato per accogliere l’ampio parlamento comunale, mentre quello superiore era chiuso e ospitava le riunioni dei consoli. Di un palatium Communis, “palazzo del Comune”, sito nel medesimo luogo, si fa invece menzione nel 1196, ma non sappiamo se il termine più altisonante fosse stato adoperato per indicare una struttura fattasi nel tempo più imponente rispetto alla casetta originaria, o per sottolineare il prestigio nel frattempo assunto dal Comune di Milano che, dopo la pace di Costanza, esercitava un potere indiscutibile: la definizione di palazzo appare infatti in un documento che ratificava un importante atto politico, una pace fra Milano e Como. In realtà, è probabile che il palazzo in questione non corrispondesse fino in fondo alle rinnovate esigenze di visibilità e di gestione pubblica: nel 1208 veniva definito già vetus, ormai “vecchio”, probabilmente perché doveva esistere già un “palazzo nuovo”, che tuttavia è attestato nella documentazione, per lo meno in quella conservatasi fino ai giorni nostri, solo nel 1213. Questo nuovo palazzo comunale si ergeva vicino a quello vecchio, che peraltro continuò anche in seguito a essere usato come luogo di amministrazione degli affari pubblici, e non va pertanto confuso con il nuovo edificio, il pallatium novum Communis (o brolietum novum Communis), che avrebbe di lì a poco costituito il fulcro dell’atto politico di fondazione di una nuova piazza del Comune, la curia Comunis, dove conversero i principali organi di funzionamento della macchina pubblica – podestà, giudici, notai – precedentemente collocati nell’area del complesso episcopale.

….Dal prato, il nome “broletto” passò dunque nel corso dei secoli XII-XIII a indicare un’area edificata, e successivamente le strutture che vi si ergevano. Dal XVIII secolo divenne tra l’altro consuetudine storiografica designare come Broletto le sedi del governo cittadino dei vari centri padani che sperimentarono l’autonomia comunale anche se, va precisato, questo termine compaia di rado nella documentazione medievale non milanese (lo troviamo comunque anche a Brescia e a Como).

La creazione della nuova piazza del Broletto

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Le antiche vie d’accesso alla città tracciate su di una pianta del XVII (Laferri)

….Seguire nel dettaglio le tappe della creazione della piazza e dei suoi continui cambiamenti, dal Duecento in poi, è difficile, soprattutto in alcuni periodi, perché le testimonianze sono frammentate, eterogenee e non sempre di univoca interpretazione. Bisogna tra l’altro tenere in conto la tendenza del tempo al riuso, anche parziale, delle strutture edilizie già esistenti, piuttosto che alla loro demolizione totale e alla edificazione ex novo. Per Milano va inoltre tenuta presente la distruzione punitiva ordinata nel 1162 da Federico Barbarossa, alla quale parteciparono con grande entusiasmo i vicini pavesi, cremonesi, lodigiani, comaschi e novaresi, felici di vendicarsi degli antichi soprusi egemonici milanesi (anche se poi proprio la durezza mostrata dall’imperatore in quell’occasione avrebbe ricompattato le alleanze lombarde). A seguito di questa distruzione, in città ancora ai primi del Duecento dovevano presentarsi diverse case diroccate e fatiscenti, circostanza che facilitò il disegno dei ceti al potere di conferire un nuovo volto alla città.

 ….Nel 1228 il consiglio comunale presieduto dal podestà Aliprando Faba (Fava) di Brescia individuò un’area posta nel cuore di Milano, disposta a ovest rispetto alla limitrofa piazza delle cattedrali. Il Comune procedette con una serie di acquisti dai possessori di terreni e edifici della zona, che venne sottoposta a un totale rivolgimento, perché prima lì non esisteva una piazza, ma vie e case. Le fonti menzionano esplicitamente l’acquisto di una torre di proprietà della famiglia Faroldi, e del terreno ove sorgeva, almeno dai primi dell’XI secolo, il Monastero femminile di Santa Maria del Lentasio: da documenti prodotti da questo ente religioso sappiamo che non si trattò di un impossessamento pacifico, ma di una sorta di esproprio, avvenuto irrequisito assensu, senza preoccuparsi cioè del consenso dei proprietari, del quale le monache si lamentarono con lo stesso pontefice, ma invano. Le religiose furono così costrette a trovare una nuova sede in un’area più esterna, che individuarono in Porta Romana, dove nel 1235 acquistarono edifici, orti, la metà di un pozzo e una corte, con il denaro a suo tempo ricevuto a titolo di risarcimento dal Comune, somma definita comunque scarsa e inferiore al reale valore degli immobili ceduti.

….La procedura un po’ brutale con cui le autorità locali superarono gli ostacoli che si frapposero alla realizzazione del progetto urbanistico dimostra la forza e la consapevolezza della coscienza cittadina raggiunta dalle istituzioni comunali.

….Nel nuovo centro cittadino si sarebbero inoltre dovute incontrare, passando per cinque valichi che interrompevano la serie continua di edifici che separavano il nuovo palazzo comunale dal resto della città, le strade che partivano dalle principali porte e pusterle cittadine, otto in tutto. Da questa operazione usciva enfatizzata la tipica caratteristica radiocentrica degli assi stradali di Milano. Il monocentrismo urbanistico, favorito dal piano regolatore del 1228, si sarebbe poi riflesso anche nella connotazione sociale degli occupanti le case vicine alla nuova piazza: da un progetto di prelievo fiscale inoltrato nel 1411 dal vicario e dai Dodici di Provvisione al duca Giovanni Maria Visconti, destinato a porre rimedio alle dissennate spese pubbliche da quest’ultimo volute, veniamo infatti a conoscenza del fatto che intorno al Broletto risiedevano le famiglie più benestanti della città, che corrispondevano alla fascia dei contribuenti ai quali furono richieste imposte più alte, e che la periferia era abitata dai ceti meno abbienti.

….I lavori del nuovo Broletto durarono pochissimo: nel 1233 veniva già fatto edificare, per ordine del podestà Oldrado da Tresseno, il solarium, cioè il piano superiore, dove si sarebbe radunato il consiglio generale del Comune. Più lunghi risultarono invece i tempi di realizzazione di altri edifici pubblici posti ai lati della piazza.

 ….Datano al 1251 la Casa del Podestà e le carceri da questi governate (che non erano le uniche della città perché il sistema detentivo milanese ne prevedeva circa una decina).

….Intorno agli stessi anni si dovette aggiungere anche il palazzo della Credenza di Sant’Ambrogio, società di Popolo fondata nel 1198 e assurta nel Duecento alla cogestione del potere cittadino insieme alle autorità comunali: tale condominio si riflesse non a caso nella collocazione nella medesima piazza, uno di fronte all’altro, del Broletto e del palazzo della Credenza.

….Quando nel 1272 Napo Torriani fece costruire una nuova torre nel Broletto, che si andava ad aggiungere a quella dei Feroldi, lo fece appunto nella sua veste di “anziano” della Credenza di Sant’Ambrogio. E fu proprio tramite l’impossessamento a titolo perpetuo di questa carica che si attuò il controllo della famiglia della Torre sulla città, e l’instaurazione della prima forma di governo signorile a Milano.

 ….La torre di Napo Torriani venne dotata di quattro campane che, in competizione con quelle delle chiese, scandivano il tempo civile, annunciando momenti particolari della vita cittadina, come vittorie, incendi e condanne a morte. Insieme alle piazze delle cattedrali, del castello e al Vigentino, il Broletto divenne infatti uno dei luoghi cittadini deputato alle esecuzioni capitali, in particolare quelle delle persone condannate per crimini di natura politica.

 ….Nel 1316 Matteo Visconti, cacciati i Torriani, si impossessò di un palazzo già appartenente alla famiglia di Popolo degli Osii, vicina dunque ai rivali della Torre, che sorgeva sul lato opposto della piazza a quello occupato dalla Credenza di Sant’Ambrogio. Il palazzo, menzionato già nel 1230 (in un documento che riferisce di una lite sorta tra privati cittadini) come luogo ove si riunivano i consoli di giustizia, venne abbellito dal Visconti congli stemmi del Comune, con le insegne dei quartieri cittadini e infine con un loggiato dal quale si sarebbero proclamati bandi e sentenze. Sempre sullo stesso lato, nel 1336 Azzone Visconti fece costruire un portico destinato alle operazioni commerciali e di banca, trasformato poi nelle scuole del Broletto, in seguito Palatine.

….Nonostante il fatto che Galvano Fiamma lo paragonasse a un castrum, cioè a un castello, il Broletto non era un luogo inaccessibile: nel 1251 non fu difatti possibile chiuderlo alla folla che protestava per la fuga dal carcere degli eretici assassini del domenicano Pietro da Verona (poi santificato come Pietro martire), e nemmeno nel 1302 alle duecento donne che lo presero d’assalto armate di coltelli per saccheggiare il magazzino del sale lì custodito.

Si trattava infatti di un luogo volutamente aperto, perché punto di incontro per la popolazione, e soprattutto per chi intendeva fare affari e assistere allo svolgimento della vita politica, che doveva avvenire in maniera pubblica.

La tipica forma del palazzo con il piano inferiore aperto serviva proprio a questo. Gli statuti del 1396 raccomandavano quindi, pena una forte multa, che il loggiato del palazzo posto al centro della piazza rimanesse libero da qualsiasi ingombro, affinché nobili e mercanti, cittadini e forestieri, potessero trattenervisi, conversare e passeggiare. Per non distogliere i cittadini da questi nobili commerci, si vietava invece l’accesso in piazza alle prostitute.

….Ormai in pieno Quattrocento, l’Universitas mercatorum, la corporazione dei grandi mercanti milanesi, ottenne dal duca Filippo Maria Visconti un terreno sul quale fece erigere, con architetto Giovanni Solari, un bellissimo palazzo: al piano terra venne collocato l’archivio dell’officio degli statuti e di tutti i principali atti pubblici, concesso per via ereditaria al controllo di una famiglia di notai, i Panigarola, dai quali poi la casa prese il nome.

…..Nessun edificio religioso si affacciò invece su questa piazza di nuovissima istituzione comunale, a conferma del definitivo sganciamento, nel Duecento, del potere pubblico cittadino da quello ecclesiastico: la vicina chiesa di San Michele al Gallo, che pure confinava con l’area del Broletto, dava infatti sulla contrada degli Orefici.

….La piazza del Broletto fu dunque il luogo per eccellenza del potere comunale, non di quello signorile e men che meno di quello principesco. I Visconti, che dal 1277 cominciarono a governare Milano, disdegnarono infatti il nuovo Broletto, troppo legato alla memoria torriana, e preferirono occupare dapprima le strutture del vecchio Broletto, quello vicino all’Arcivescovado (non dimentichiamo che due esponenti della casata, Ottone e Giovanni, furono anche arcivescovi della città), e costruire poi castelli in posizione eccentrica rispetto al cuore civico milanese (a Porta Romana, a Porta Nuova, a Porta Giovia), a testimonianza della natura non compartecipata del nuovo potere signorile.

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Le funzioni del Broletto e della sua piazza nel Medioevo

….Sorto in contrapposizione alla piazza simbolo del potere ecclesiastico milanese, il Broletto avrebbe svolto essenzialmente la funzione di luogo del potere civile e della giustizia.

….Qui sedettero i tribunali dei giudici del podestà e di tutti gli altri giudici del Comune di Milano, compresi quelli del consolato dei Mercanti (magistratura pubblica testimoniata sin dal 1119), che invece in precedenza si erano sempre riuniti nella piazza delle cattedrali: nel 1173 nella chiesa di S. Maria, nel 1177 alla Pescheria e nel 1212 al Broletto vecchio. Ciò non toglie che a volte i giudici potessero anche riunirsi in altri luoghi della città, come nel 1405 quando il console di giustizia elesse come sua sede adatta e idonea le case dei flagellanti della confraternita di Santa Maria della morte, site in Porta Nuova nella contrada delle Case rotte.

….Nella piazza del Broletto la giustizia veniva inoltre custodita (dal Quattrocento nella Casa del Panigarola) e comunicata al popolo tramite l’affissione al Palazzo del podestà, alla Loggia degli Osii e al Broletto di sentenze scritte e liste di bandi.

….La comunicazione visiva delle sentenze pubbliche si arricchiva di cicli di pitture raffiguranti, in atteggiamenti derisori e infamanti, i condannati in contumacia ed esposti, non risultando punibili in altro modo, all’onta sociale della vergogna pubblica.

….Vittime privilegiate di questa forma di pena erano i falsi testimoni, i notai, i mercanti e i cambiatori, quanti cioè fossero venuti meno alla pubblica fiducia accreditata al loro operare, e quindi giudicati meritevoli di pubblica diffamazione.

…..Questa pratica fu tipica soprattutto dei regimi comunali: a Milano i duchi Visconti ne vietarono l’usanza, giudicata disonorevole per la stessa città perché i visitatori forestieri erano indotti ad accomunare nella stessa cattiva reputazione di infami tutti i milanesi, e al contempo ordinarono la rimozione dei dipinti già esistenti.

….Qui la giustizia veniva inoltre eseguita: il Broletto era infatti teatro privilegiato delle punizioni esemplari, dalle condanne capitali alla gogna.

 ….Fu celebre l’esecuzione svoltasi il 29 gennaio 1449 di un gruppo di nobili accusati di tradimento contro la Repubblica Ambrosiana (il regime che per tre anni, dopo la morte senza eredi di Filippo Maria Visconti, resse Milano opponendosi alla conquista di Francesco Sforza).

—-Ma qui si consumavano anche drammi che non assurgevano alla gloria delle cronache. È in una supplica scritta al duca nel 1470 che leggiamo della crudele punizione inflitta a un cittadino, rimasto anonimo, rinchiuso in una gabbia appesa al campanile del Broletto: il padre disperato, osservando il proprio figlio spegnersi a poco a poco a causa delle intemperie invernali – vento, pioggia, gelo – e della mancanza di cibo, implorava un castigo più proporzionato al delitto commesso, che ignoriamo, e soprattutto tale da non far morire il figlio «in desperatione et perditione de l’anima sua», peccato gravissimo in quanto la Speranza era un delle tre virtù teologali. Non sappiamo come fu accolta l’accorata richiesta e quale fu il destino dello sventurato giovane, ma non v’è da farsi illusioni: come leggiamo in altre testimonianze coeve, nella gabbia del Broletto si sopravviveva massimo cinque giorni.

….Proprio per questa funzione principale, la piazza oltre che come curia Comunis, cioè come corte del Comune, veniva indicata nei documenti anche come forum Mediolani o forum iudicialis, termini classici con i quali si voleva enfatizzare il ruolo di centro della giustizia cittadina.

….Oltre che sede del potere istituzionale, il Broletto divenne presto il nuovo centro anche delle contrattazioni e degli scambi di alto livello. Già dal 1251, la curia Comunis ospitava infatti i banchi dei notai (che in questo luogo rogavano molti atti relativi alle transazioni commerciali), i banchi dei cambiatori (attestati fin dalla metà del Duecento), il mercato del grano, le riserve del sale (bene che rappresentava anche una forma di pubblica imposta visto che il suo acquisto era in parte forzoso). Furono pertanto numerosi i provvedimenti delle autorità finalizzati a tutelare il tranquillo svolgersi di questi affari, la cui importanza per la vita cittadina era di grande rilievo. Data al 1272 l’ordine emanato dal podestà Visconte Visconti di vietare l’entrata di porci nel Broletto nuovo e la raccomandazione di tenere i portici del palazzo puliti e sgombri da ogni impedimento per consentire a mercanti e nobili milanesi di dimorare e conversare; per il diletto di chi era uso sostare nella piazza si sarebbero invece potute installare panche e pertiche sulle quali ciascuno poteva porre falconi, sparvieri e altri uccelli.

….Le leggi comunali di fine Trecento, basate su ordinamenti precedenti confermati in piena età signorile e principesca, ribadivano fermamente l’uso esclusivamente pubblico del Broletto, perché tutti i suoi spazi dovevano rimanere a uso del podestà e degli ufficiali comunali. A differenza degli spazi del Duomo, quelli del Broletto non potevano essere affittati a privati per allestire le proprie botteghe. Unica eccezione veniva fatta per i banchi dei campsores, banchieri e cambia valute, che avrebbero dovuto comunque essere allestiti ai lati e non al centro della piazza, verso la Loggia degli Osii e lungo le pareti della chiesa di San Michele al Gallo.Nel 1413, tuttavia, gli ufficiali pubblici, constatato che la piazza del Broletto risultava sempre ingombra, vietarono la sosta di carri, cavalli e altre bestie sotto il palazzo del Broletto o nella piazza verso la Loggia degli Osii, relegandoli dalla parte del campanile del Broletto; fu invece permessa la vendita di grani, pane, legumi, castagne, marroni e noci.

….Con l’instaurazione del Ducato di Milano – nel 1395 Gian Galeazzo Visconti ottenne dall’imperatore il titolo di principe e duca che legittimò definitivamente il potere signorile della sua famiglia – il ruolo pubblico della piazza, simbolo del potere di una città ormai non più sovrana ma suddita al pari delle altre del Ducato, cominciò a declinare.

….Questo avvenne a vantaggio del ceto mercantile che molto aveva contribuito nel corso del tempo all’affermazione della famiglia Visconti, ottenendo in cambio la concessione di importanti privilegi, sia sociali, sia commerciali (soprattutto con l’estero). L’ascesa dei Visconti e l’arricchimento dei mercanti marciarono così di pari passo, facendo di Milano «das wirtschaftliche Herz von Europa», il cuore economico dell’Europa, secondo le parole di un mercante “de Alemagna” della seconda metà del XV secolo.

….Alla fine del Medioevo la piazza del Broletto cominciò quindi a connotarsi sempre più in senso mercantile. Sono ancora una volta gli statuti del 1396 a riferire che l’Universitas mercatorum, ovvero l’associazione dei grandi mercanti, importatori, esportatori e imprenditori, aveva in concessione alcuni locali all’interno di uno dei palazzi della piazza. Questi, però, nei primi del Quattrocento furono ceduti alle Scuole Palatine e così, come lamentava nel 1433, la corporazione dei mercanti si era ridotta a riunirsi nella piccola casa di un fabbro sita nella contrada degli Orefici.

….I mercanti milanesi non erano gente da sopportare in silenzio e inoltrarono quindi supplica al duca per ottenere una sede più degna, che essi stessi individuarono, non a caso, nel Broletto, e precisamente sopra lo spazio dove i consoli della mercanzia tenevano giornalmente giustizia per le cause loro pertinenti. A fronte della richiesta dei mercanti, il terreno in questione, però, venne rivendicato anche dai vicini e dal sacerdote della chiesa di San Michele al Gallo, i quali dichiararono di vantare diritti su di esso perché adibito da tempo agli usi cimiteriali della piccola comunità di fedeli.

….Il duca Filippo Maria Visconti interpellò allora il vicario dell’Ufficio di Provvisione, principale carica municipale del tempo, e la risposta da questi data è davvero illuminante per farci comprendere quali fossero i rapporti di forza del momento: lo spazio conteso, secondo l’ufficiale, era da considerarsi più suolo pubblico che cimitero privato (minime cimiterium, sed solum publicum) perché da tempo immemorabile era stato adibito a un uso pubblico e pertanto era da considerarsi bene di proprietà comunale (in bonis ac proprietate Communis). Spettava quindi al Comune disporre del suo utilizzo: e considerato che «da sempre» e fino «al tempo presente» il terreno in questione aveva ospitato il tribunale della mercanzia milanese, l’ufficiale comunale decretava che agli usi di questa poteva venire assegnato.

….Questo fu il primo importante risultato messo a segno dalla corporazione mercantile nel suo progressivo, ma da quel momento irreversibile, impossessamento dello spazio del Broletto. Un passo ulteriore fu compiuto a fine secolo quando un decreto del duca Gian Galeazzo Maria Sforza permise che nuove rivendicazioni della Camera dei Mercanti prevalessero questa volta addirittura sui diritti del Comune.

….Nel 1481 infatti i mercanti si lamentarono del fatto che la piazza era invasa da gente di ogni sorta e che questo avveniva a loro detrimento nonostante il fatto che la piazza del Broletto e il portico centrale fossero a loro dire «da molti anni, e per antica consuetudine» di loro esclusivo utilizzo. Il documento del 1433 sopra citato mostra che questa rivendicazione non avesse in realtà fondamento. Eppure il principe non solo accolse la supplica dell’Universitas mercatorum ma andò oltre, ordinando che nessun ufficiale pubblico osasse intromettersi e occupare la piazza senza il consenso degli abati dell’Università dei mercanti, ai quali venne da quel momento in poi concesso il diritto di disporre del portico e della piazza come di cosa loro spettante e di espellere chi vi si fosse intromesso senza permesso.

Il Comune rispose lamentando il danno economico derivante da tale concessione, che impediva agli uffici pubblici di affittare spazi ai privati, e riuscì a ottenere un risarcimento. Ma il messaggio era chiaro: il principe di Milano, detentore di un potere autocratico su tutto il Ducato che prescindeva dal consenso della città di Milano, faceva capire ai sudditi che avrebbe deciso a suo piacimento. Evidentemente in questo caso era ai suoi occhi preferibile privilegiare i mercanti rispetto alle autorità municipali locali.

….Il Comune di Milano comunque non si arrese e infatti il contrasto con la Camera dei Mercanti non si fermò qui, ma ebbe strascichi addirittura secolari che non è possibile seguire ora. Possiamo invece sottolineare come da questa concessione ducale, e dalla lunga lite che ne seguì in cui si faceva riferimento soprattutto a questioni di giurisdizione patrimoniale, si determinasse, a fine Medioevo, un cambiamento significativo sui destini di questa piazza, che perse il suo valore politico, pur rimanendo al centro della vita cittadina. La percezione di questo mutamento di ruolo e di influenze fu abbastanza immediata e si manifestò nel passaggio, attestato nelle fonti locali a partire dall’età moderna, della dedicazione della piazza dal Comune ai Mercanti.

Bibliografia
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